Tutta la vita che resta, di Roberta Recchia. Un romanzo coraggioso e delicato sugli strappi della vita.


 

Già da poco le undici, la casa del mare degli Ansaldo era silenziosa. Dai bar e i ristoranti degli stabilimenti lungo la spiaggia arrivavano la musica, gli scoppi di risa sguaiate, di tanto in tanto squilli di campanelli di biciclette. Stelvio, in attesa di addormentarsi, si lasciava cullare dal respiro discreto di Marisa che, stesa al suo fianco, era quasi subito caduta in un sonno profondo. L'ultimo giorno della vita di prima era finito. 

(Roberta Recchia, Tutta la vita che resta)  


Ci sono degli strappi nella vita che non si possono più ricucire. Sono dei punti di non ritorno per cui diviene impossibile riavvolgere il filo degli eventi e riprovare a farli funzionare secondo la direzione desiderata. 

In quei casi ci si domanda allora che fare di quello che resta delle ceneri di un'esistenza mutila e se la vita che resta possa ancora prendere una forma o se sia destinata ad avanzare per inerzia, senza identità, senso, sapore. 

Alcuni di questi strappi sono le malattie, i lutti, i grandi dolori che ci colgono. Quelli che racconta con grandissima sensibilità Roberta Recchia nel suo romanzo d'esordio, edito da Rizzoli. 

"Tutta la vita che resta" è un romanzo coraggioso. Per i temi che affronta e per come li affronta: con tatto, delicatezza, ma anche con determinazione e crudezza. 

La vicenda prende le mosse nella Roma degli anni '50 dove Marisa e Stelvio divengono sposi dopo un tormentoso fidanzamento in cui hanno pesato le pressioni familiari e le chiacchiere di quartiere. Da lì la vicenda, con un salto temporale, si sposta agli anni '80, dove si svolge il cuore della storia e dove avviene il fatto che farà scaturire tutti gli avvenimenti successivi. Lo strappo irreparabile, il punto di non ritorno. 

Betta, primogenita della coppia, in una notte d'estate in riva al mare viene stuprata e uccisa da degli sconosciuti. 
La tragedia stravolge ogni equilibrio personale e familiare, al punto che nessuno si accorge, neppure lontanamente, del fatto che Betta non è stata l'unica vittima della violenza e che la più fragile cugina Miriam ha subito lo stessa dramma, pur riuscendo a salvarsi la vita.

A questo punto di più non si può davvero svelare.

Il romanzo è ben scritto, avvincente, i personaggi sono credibili nei loro lati oscuri e nelle loro fragilità. Insomma, le quattrocento pagine del volume si divorano in fretta e ci rivelano un'autrice che si spera possa regalarci nuovi romanzi altrettanto emozionanti e struggenti. 

In alcuni punti si ha l'impressione che la Recchia abbia voluto sensibilizzare il lettore su davvero troppe cose, con l'intenzione di non dimenticare nessun tema attuale. E quindi nel romanzo troviamo tutto: pregiudizi, difficoltà intergenerazionali, violenza, malattie terminali, abuso di sostanze, disforia di genere, machismo, famiglie disfunzionali. 

E a volte il lettore deve prendersi una pausa per le durezza delle situazioni con cui è confrontato. 

Nonostante ciò, "Tutta la vita che resta" è uno di quei romanzi che vale la pena di leggere e che è destinato a restare a lungo nella memoria e nel cuore di un lettore.