Come è possibile
sopravvivere in un lager? Quali sono i meccanismi mentali che spingono un
individuo a restare in vita, a trovare il coraggio di affrontare
quotidianamente atrocità, privazioni e umiliazioni e a ritrovare ogni singolo
giorno la speranza che tutto prima o poi finirà?
Viktor Fankl, ebreo
viennese, trascorse gli anni dal 1942 al 1945 prigioniero in diversi lager, fra
cui anche Auschwitz.
“Uno psicologo nei lager”, pubblicato nel 1946, è la testimonianza personale della terribile esperienza di Frankl, ma è soprattutto altro. Si tratta di una narrazione
straordinaria, efficacissima e scorrevole, della vita degli internati nel
tentativo di spiegare da un’ottica di uno specialista (Frankl era uno
psicologo, come appare chiaro dal titolo stesso dell’opera) cosa accade nella
mente di un essere umano che si trova a subire quest’esperienza.
Così Frankl ci racconta
(e non era difficile davvero immaginarlo) che qualsiasi argomento che ruotasse
attorno al cibo era nel lager un’ossessione costante e che egli personalmente
aveva cura di conservare alcuni avanzi del poco pane che veniva distribuito per
confortarsi nei momenti peggiori della giornata.
Da Frankl veniamo a
sapere che nel lager (il luogo che potremmo credere essere la negazione di Dio)
proliferavano anzi culti, credenze, cerimonie religiose improvvisate ovunque,
anche sui vagoni dei treni che trasportavano i prigionieri. La politica, l’andamento
della guerra era oggetto di curiosità incontrollabile e ogni minima notizia in
proposito che provenisse dall’esterno diveniva terreno delle più fervide
immaginazioni. Ancora, Frankl racconta della nostalgia profonda degli internati
verso un po’ di tenerezza, un’amicizia sincera, il rimpianto struggente verso
gli affetti più profondi.
Ma le riflessioni più
interessanti sono quelle che riguardano il senso che egli trova nel dramma suo
e di milioni di altre persone.
L’essere umano, egli
sostiene, non può vivere senza speranza. Coloro che sopravvissero, al di là
delle circostanze dovute alla salute soggettiva o alla crudeltà altrui, furono
coloro che più fermamente ebbero la forza di credere che quei tormenti sarebbero
finiti. E per avere speranza l’essere umano deve attaccarsi a un pensiero che
lo salvi e che per lui abbia valore.
Soprattutto, Frankl
consegna al lettore un monito. Il bene e il male sono frutto di una scelta
quotidiana, individuale. Nessuno è automaticamente dalla parte del bene e del
giusto, ma esso richiede un impegno, possibile per tutti, anche quando ci si
trova sul fondo dell’abisso.