Il Duca, di Matteo Melchiorre

 


Mai avrei creduto di incontrare la discordia proprio qui, a Vallorgana, dove il peso del mondo si immaginerebbe che sia lieve, e il vivere essenziale e senza scorie, e le leggi umane, antichissime, sempre giuste e ottimamente operanti. Infida. Sleale. Subdola. Meschina. Così sarebbe stata la discordia destinata a imperversare, per mesi e mesi, nelle mie giornate, disseminandole di insensatezze, consumando il tempo, infettando e viziando ogni cosa.

(Matteo Melchiorre, Il Duca) 


Scoprire chi siamo è un’operazione archeologica: richiede scavo in profondità, pazienza, attenzione. Non mancano i rischi: qualcosa può rompersi, qualcosa può andare perduto. Ma per capire chi vogliamo diventare bisogna fare i conti con quello che siamo veramente.

L’ultimo erede della decaduta dinastia dei Cimamonte, ricco, senza parenti e senza alcun concreto progetto per il futuro, si è stabilito a vivere nella villa gentilizia dei suoi avi a Vallorgana, un immaginario paese di mezza montagna, dove amministra, per quanto nelle sue capacità, le tenute che appartengono da secoli alla sua famiglia. Il Duca, come viene chiamato dagli abitanti del paese (non senza una punta di ironia e provocazione), si aspetta dalla vita in un luogo “dove il peso del mondo si immaginerebbe che sia lieve”, la possibilità di un tranquillo tran-tran: nulla di importante, nulla, di ingarbugliato, “nessuno strappo alla quotidianità”, ma solo un “restare in sospeso e lasciarsi pian piano scivolare nel giro delle quotidiane occupazioni”.

Ma un giorno viene a sapere che Mario Fastreda, il vero feudatario in pectore del paese, l’uomo che tutti venerano e servono, gli contende il possesso di tre ettari di bosco, essenziali per realizzare un progetto, destinato a favorire tutta Vallorgana, di creazione di una malga in montagna e della strada necessaria per arrivarci.

Il Duca, contro ogni sua volontà e aspettativa, si trova così coinvolto in una lunga e complessa faida di paese, in cui odi inveterati e interessi di parte mettono in discussione non solo la sua tranquillità, ma soprattutto il senso delle sue non-scelte.  Costretto a confrontarsi con le logiche profonde che innervano la vita della comunità e ad apprendere la “grammatica” della montagna e dei boschi regolati da eterne leggi di natura a lui sconosciute, il Duca si trova a interrogarsi sulla sua presenza e sul suo ruolo in un luogo che per lui era solo una soluzione di comodo, dettata dalla pigrizia. Inizia per lui, dunque, un confronto con il proprio passato, che è per lui il passato della propria dinastia, gli ingombranti feudatari di Vallorgana che per generazioni hanno imposto la loro autorità (e spesso la loro protervia) sui contadini, sui boscaioli, sui pastori, sulle servette del paese. Affascinato e disgustato al tempo stesso dai valori e dai codici di comportamento di un mondo in cui in cui il sangue di un individuo, nobile o plebeo, determinava la sua esistenza, il Duca scava negli archivi familiari, scoprendo vicende, passioni, relazioni che gli rivelano Vallorgana, e se stesso, in una luce completamente nuova.

“Il Duca” è un romanzo epico. Scritto benissimo, con una lingua articolata ed elegante da un autore che è storico di professione. E ciò ben si nota dalla capacità con cui Matteo Melchiorre racconta particolari su fascicoli, archivi, privilegi feudali, ricostruzione di alberi genealogici e tanto altro.

Ma non è il caso di aspettarsi un mattone indigeribile o una lezione di storia tardo medievale. Anzi, “Il Duca” è un romanzo coinvolgente, ricco di colpi di scena ed attualissimo per alcune riflessioni che sviluppa sul rapporto fra uomo e ambiente, sul rispetto della natura e sui delicatissimi equilibri della montagna (i capitoli finali, ad esempio, si sviluppano tutti attorno alle conseguenze della tempesta Vaia che si è abbattuta sui boschi del Nord Italia nel 2018).

Difficile staccarsi dalla lettura. E, una volta concluso, vi prenderà una terribile nostalgia di Vallorgana.