In viaggio con ... Goethe - Il lago di Garda

Malcesine 


Tre sono i luoghi del soggiorno gardesano di Goethe: Torbole, Limone, Malcesine. Successivamente Goethe raggiunge Bardolino con un’imbarcazione e da lì, inforcando un mulo, procede per parecchie miglia in un paesaggio “ai piedi di ardue montagne e di rocce scoscese nella più bella pianura tenuta col più grande amore”, fino ad arrivare a Verona. Di fatto, si trattò per lo scrittore tedesco di una sosta di pochissimi giorni, un semplice “assaggio” per così dire, delle bellezze del lago di Garda: Goethe annota nella pagine del suo “Viaggio in Italia” di arrivare a Torbole nel pomeriggio del 12 settembre 1786 e di giungere a Verona il giorno 14 settembre. Eppure il breve soggiorno lasciò un’impressione vivissima in lui e le pagine del diario in cui descrive luoghi e persone della zona sono giustamente fra le più note della sua opera.
Goethe era partito da Karlsbad  il 4 settembre , proseguendo poi per Ratisbona, Monaco, il passo del Brennero, Bolzano, Trento. Riguardo a quali siano le sue aspettative riguardo al viaggio, Goethe stesso è assai chiaro: “quel che ora sta a cuore per me, è d’arricchirmi di quelle impressioni sensibili che non danno né i libri né i quadri.” L’Italia non è una meta scelta a caso:

Devo confessarlo: non essendo in sostanza il mio viaggio in Italia che una fuga per farla finita con tutte le contrarietà da me sofferte sotto il cinquantesimo grado, speravo di entrare veramente, […] in una terra promessa”.

Rovereto, venendo da nord, è per lui la prima località dove “la lingua si cambia d’un tratto” e l’italiano è “lingua viva, lingua usata da tutti”. Goethe saluta con gioia la possibilità di essere finalmente nel paese in cui tutti parlano una lingua che egli ama. Da lì, nel giro di poche ore, Goethe raggiunge Torbole e possiamo affermare che la sua avventura italiana inizi proprio qui. A dire il vero, le sue mete principali sono Verona e Venezia e Goethe stesso ammette di avere “allungato il viaggio” per poter vedere il lago di Garda. I suoi sforzi però sono ampiamente ripagati dalla bellezza della natura, tanto che egli, poeta e romanziere, confessa a un certo punto di non riuscire neppure a descrivere “l’incanto” di quanto vede. Rimpiange solo di non poter condividere tale meraviglia con i suoi amici e, come spesso durante il suo viaggio, si arma di carta e matita per disegnare le vedute per poterne conservare il ricordo.
Goethe si comporta innanzitutto da appassionato naturalista: annota il tipo di rocce che ha occasione di vedere (“s’incontrano qui le più belle rupi calcaree”), osserva che il vento procede in direzione nord-sud dopo la mezzanotte, ma che, prima dell’alba la corrente dei venti cambia e soffia verso nord, apprezza le trote (ma “non si tratta veramente di trote […] sono grandi, del peso talvolta di cinquanta libbre e picchiettate per tutto il corpo fino alla testa") che tentano di salire a ritroso “nel punto in cui il fiume scende dai monti”.
La meraviglia per l’incanto dei luoghi e la soddisfazione di aver raggiunto una meta tanto desiderata non impediscono d’altra parte a Goethe di conservare uno sguardo osservatore, quasi scientifico, su tutto ciò che vede, compresi gli abitanti. Non mancano le note sulla complessione della gente del posto.

Sul lago di Garda ho trovato le persone molto brune e senza la minima traccia di color vermiglio alle guance; con tutto questo non hanno l’aspetto poco sano, anzi fresco e florido. Probabilmente, quella tinta è un effetto dei vividi raggi del sole, cui sono continuamente esposti.

Qui la gente vive spensierata (una vita, lui scrive “da paese di cuccagna”), non oziosa, anche se dappertutto, si nota una certa sciatteria, anzi “la maggior trascuratezza”.  “In un certo qual modo qui si vive allo stato di natura”, riflette raccontando la spiacevole circostanza che a Torbole viene invitato a espletare i propri bisogni corporali in un prato vicino all’albergo in cui alloggia.
Da Torbole in barca si reca a Malcesine, sulla sponda orientale del lago, “il primo paese soggetto a Venezia”. Durante il tragitto passa dinanzi a Limone, con i suoi splendidi giardini piantati a limoni che egli, però, ha modo di osservare solo dal lago.
A Malcesine gli capita un’avventura curiosa: intento a disegnare il castello, viene accusato di essere una spia austriaca incaricata di studiare i confini e, nel tentativo di spiegare le proprie reali intenzioni, si prodiga, lui straniero, appena arrivato sul posto, a mostrare l’irresistibile fascino di quelle rovine agli abitanti assuefatti, e perciò indifferenti, di fronte alla vista di tanta bellezza. La faccenda viene accomodata all’italiana: a un certo punto spunta dalla folla un tale Gregorio che ha vissuto per tanto tempo Francoforte sul Meno, da cui proviene Goethe e i due si scoprono “amici” in quanto hanno conoscenti in comune.

Era costui un uomo sulla cinquantina, una faccia bruna veramente italiana, come se ne vedono tante. Egli parlò e si comportò come ci è abituato anche con gli stranieri, e mi narrò senz’altro di essere stato al servizio del signor Bolongaro, dicendo che sarebbe stato lieto di apprendere da me qualche notizia intorno a questa famiglia e alla città di cui si ricorderà sempre con piacere. […] Gli narrai di tutte le famiglie italiane, di cui nessuna mi era rimasta estranea ed egli fu assai soddisfatto di apprendere alcuni particolari. […] “Signor Podestà” disse egli finalmente, “io sono convinto che questo signore è una brava persona e un artista assai colto, che viaggia per istruzione. Lasciatelo andare in santa pace perché possa dir bene di noi ai suoi concittadini e li incoraggi a fare una visita a Malcesine”.

E c’è da dire che la strategia del signor Gregorio ha indiscutibilmente funzionato, dal momento che, dal “Viaggio in Italia” in poi, il lago di Garda è sempre stata una delle mete più amate dai turisti tedeschi.
E così Goethe, confortato, da queste “amabili parole”, ebbe finalmente facoltà di godersi pienamente la sua giornata a Malcesine, sotto la guida di mastro Gregorio e dell’oste del paese. Verso mezzanotte, si congeda dai suoi nuovi amici dopo aver ricevuto in dono un cesto di frutta, lasciando per sempre quella riva “che aveva minacciato di diventare per me il paese dei Lestrigoni”.




(traduzione del testo originale di E.Zaniboni, da J.W.Goethe, Viaggio in Italia, BUR, 2020)