La giovinezza è il tempo delle possibilità e in ciò consiste buona parte del suo irripetibile fascino: ogni strada sembra e forse è aperta, ogni esperienza o incontro possono segnare a tal punto da divenire l’occasione di svolta di un’esistenza. Joseph Conrad aveva racchiuso in poche righe quest’idea nell’incisivo incipit del suo romanzo “La linea d’ombra”
Soltanto i giovani hanno
momenti del genere. […] Ci si chiude alle spalle il cancelletto della
fanciullezza e si entra in un giardino incantato, dove anche le ombre splendono
di promesse e ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione. […]Riconoscendo le
orme di chi ci ha preceduto, si va avanti eccitati e divertiti accogliendo
insieme la buona e la cattiva sorte - le rose e le spine come si suole dire -
il variegato destino comune che ha in serbo tante possibilità per chi le merita
o forse per chi ha fortuna. Già. Si va avanti. E il tempo anche lui va avanti;
finché dinnanzi si scorge una linea d'ombra che ci avvisa che anche la regione
della prima giovinezza deve essere lasciata indietro.
Il protagonista di “Una
breve estate”, il romanzo del di Alberto Paleari, è, all’esordio della vicenda, appunto un giovane, un ragazzo
diciassettenne della buona borghesia berlinese, Joseph Grossman che, terminati
gli studi liceali, giunge sulle montagne svizzere in vacanza, nella felice
convinzione di avere finalmente davanti a sé un lungo periodo di tempo da
godersi liberamente, senza alcun obbligo o costrizione.
Il ragazzo uscì nel sole
pomeridiano con addosso la felicità che gli veniva dall’età, dall’avere lo
stomaco pieno e due bicchieri di vino buono in corpo, dal cielo sereno e il
clima mite, dalla bellezza delle montagne circostanti, dalla certezza di avere
davanti a sé un periodo di libertà e di vita nuova e avventurosa, senza impegni
di lavoro o di studio, lontano dalle convenzioni sociali cittadine, da genitori
che, per quanto amati, rappresentavano pur sempre la disciplina e da professori
esigenti che benché fossero stimati e ammirati, costituivano un continuo
richiamo al dovere e soprattutto dal sentire per la prima volta che almeno per
qualche mese, prima dell’inizio degli studi universitari, avrebbe potuto fare
della sua vita ciò che voleva, senza dover rendere conto a nessuno se non a se
stesso.
Anthamatten è la guida alpina che introduce il ragazzo alle vette:
Dopo lo scambio di
notizie e i saluti portati da lontano, mentre sorseggiavano il liquore, Joseph
finalmente disse ciò che più gli stava a cuore:
- Mio padre le chiede di insegnarmi
l’alpinismo
- Ah, - disse la guida, - come se fosse
possibile. L’alpinismo te lo può insegnare solo la montagna.
- Ma mio padre mi ha detto…
- Sì, allora credevo di poterlo fare: da
giovani si è presuntuosi.
- Dunque non vuole insegnarmelo? Chiese
Joseph deluso.
- Non è che non voglio, non sono sicuro di
poterlo fare, -rispose la guida, - e in montagna ti porterò volentieri, senza
pretendere di insegnarti niente: sarà lei a insegnarti, e se ne sarai capace
potrai imparare da lei.
La prima conquista di
Joseph è il Breithorn.
Sopra di loro c’era una
bastionata rocciosa e Joseph si chiese come avrebbero fatto a superarla, presto
però si accorse che non era continua, ma fatta come le quinte teatrali tra cui
ci sono spazi invisibili dalla platea. Fu proprio tra una quinta e l’altra che
i due alpinisti s’insinuarono per salire un ripido canale nevoso.
A questa conquista segue
la ben più impegnativa ascesa al Fletschhorn, il primo quattromila metri di
Joseph.
L’ultimo tratto, meno di
cento metri di dislivello, era costituito da un pendio di neve senza
difficoltà; lo fecero di gran carriera e a mezzogiorno, otto ore dopo essere
partiti da Bodme, si trovarono sulla cupola nevosa del Fletschhorn. A Joseph
sembrò di essere arrivato in cima al mondo, era commosso e faceva fatica a non
piangere.
La scoperta dell’amore
avviene, invece, attraverso l’incontro con Gretchen, la figlia di Anthamatten.
In meno di dieci minuti
Joseph arrivò davanti alla porta degli Anthamatten con la bottiglia in mano.
Prima di bussare l’appoggiò in terra e si tolse il cappello per ravvivarsi i
capelli, poi se lo rimise in testa e mentre con una mano riprendeva la
bottiglia, con l’altra bussò. Non venne nessuno. Aspettò un attimo e ne
approfittò per ripetere l’operazione di riavviarsi i capelli mettendo la
bottiglia in terra, ma mentre lo faceva la porta si aprì e sulla soglia
comparve una ragazza di una quindicina d’anni, bella come quella mattina di
inizio estate. Il ragazzo al vederla si confuse.
Il romanzo restituisce al lettore la freschezza del tempo della vita in cui la magmatica fluidità giovanile non si è ancora cristallizzata in una “forma”, in una situazione, in una identità definita, seguendo poi Joseph fino al momento in cui riesce a trovare una propria identità, a dimostrare la risolutezza necessaria a opporsi alle aspettative paterne riguardo al suo futuro, a compiere scelte in apparenza difficilmente accettabili e comprensibili dall’ambiente sociale da cui proviene. Joseph si rivela pagina dopo pagina sorprendentemente sicuro, coraggioso e capace di affrontare le proprie paure e incertezze, fino alle ultime pagine del romanzo in cui il protagonista, oramai adulto, inaspettatamente (per il lettore) si trova assalito da interrogativi di fronte a quella che gli risulta essere la prova più difficile: dover trovare la propria felicità.
la fata, presso la quale si ha diritto a un desiderio, c’è per ognuno. Solo pochi però riescono a ricordarsi il desiderio che hanno espresso; così, nel corso della loro vita, solo pochi si accorgono che si è realizzato (Walter Benjamin)
Perché, forse, peggio che essere infelici è essere stati felici e non essersene accorti.
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