Tutti i generi di persone monomaniache, chiuse in un’unica idea, mi hanno sempre interessato, perché più uno si circoscrive, tanto più, d’altra parte, è vicino all’infinito; proprio questi tipi in apparenza lontani dal mondo si costruiscono nella propria materia, a mo’ di termiti, una straordinaria e singolarissima epitome del mondo
Perché leggere La novella degli scacchi di Stefan Zweig?
Di cosa tratta?
Conoscevo bene per diretta esperienza la misteriosa attrazione del
“gioco dei re”, l’unico fra tutti i giochi escogitati dall’uomo che si
sottragga sovranamente alla tirannia del caso e dia la palma della vittoria
all’intelletto soltanto, o per meglio dire a una forma particolare di talento
intellettuale. Ma non ci si rende già colpevoli di una limitazione offensiva, nel
chiamare gli scacchi un gioco? Non è anche una scienza, un’arte, oscillante fra
queste due categorie come la bara di Maometto fra cielo e terra, straordinario
legame fra tutte le coppie di opposti; antichissimo eppure eternamente nuovo,
meccanico nella disposizione e animato solo dalla fantasia, limitato in uno
spazio rigidamente geometrico e insieme infinito nelle sue combinazioni, in
continua evoluzione eppure sterile, un pensiero che non conduce a nulla, una
matematica che non calcola nulla, un’arte senza opere, un’architettura senza
sostanza e nonostante ciò, com’è dimostrato dai fatti, più durevole nella sua
essenza ed esistenza di tutti i libri e le opere, l’unico gioco che appartenga
a tutti i popoli e a tutti i tempi e di cui nessuno sa quale Iddio l’abbia
portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, avvincere l’anima.
Dov’è in esso il principio e dove la fine? Ogni bambino può imparare le sue
prime regole, ogni sciocco può cimentarvisi, e tuttavia all’interno di questo
stretto immutabile quadrato esso riesce a produrre una particolare specie di
campioni, non paragonabile a nessun’altra, uomini dotati solo per gli scacchi,
genî specifici, nei quali visione, pazienza e tecnica operano in proporzioni
così precise come nel matematico, nel poeta, nel musicista, solo in una diversa
stratificazione e connessione
Su una grande nave passeggeri in
viaggio da New York a Buenos Aires viaggia Mirko Czentovič, un
giovane slavo dagli ispidi capelli color biondo paglia, che da circa un anno,
fra lo stupore universale, è entrato nella leggenda dei più grandi scacchisti
di tutti i tempi. Di lui si sa poco perché non rilascia interviste, ma vari
aneddoti circolano sulla sua “figura grottesca e quasi comica” di contadino
rozzo e semi-illetterato, catapultato in virtù del suo eccezionale talento “nell’illustre
galleria dei campioni di scacchi, dove sono riuniti i più diversi tipi di
superiorità intellettuale – filosofi, matematici, ingegni calcolatori,
fantasiosi e spesso creativi”. La sua presenza a bordo suscita l’attenzione di
alcuni passeggeri appassionati di scacchi e del narratore in particolare (di
cui non sappiamo nulla, se non che, a mo’ di alter ego di Stefan Zweig, è di
origine austriaca). Gli agguerriti dilettanti ottengono da Czentovič la
possibilità di giocare una partita con lui, beninteso a seguito del pagamento
dell’onorario richiesto dal campione. Mentre la gara si avvia al prevedibile
risultato, interviene nel gioco “un signore di circa quarantacinque anni”, dal
volto “sottile e aguzzo” che riesce a suggerire ai volenterosi scacchisti le
mosse giuste per arginare la sconfitta. Il signor B. (questo è il nome, anzi il
non-nome, dello sconosciuto, che tale resterà per tutta la novella) appare,
dunque, come l’unico in grado contrastare l’astro del genio di Czentovič. Ma come è possibile che un individuo
qualunque coltivi un simile talento per gli scacchi e perché fino ad ora
nessuno l’ha mai riconosciuto?
Stefan Zweig, da buon viennese, nutrì
un grande interesse per la psicologia. Amico personale di Sigmund Freud, Zweig
era convinto che la letteratura fosse, come lui stesso scrive, Erforschung der
Seele, indagine dell’anima. Nell’introduzione alla trilogia "Drei Dichter ihres
Lebens: Casanova, Stendhal, Tolstoj", Zweig scrive che “la scoperta
dell’anima sarà il compito di questa nostra umanità diventata sapiente”. Lo
studio dell’animo umano è una delle passioni dell’autore che, non a caso,
dedicò larga parte della propria produzione, all’attività di biografista.
Nella Novella degli scacchi la
personalità dei giocatori diviene appunto il centro della storia. Zweig, così, costruisce
in essa una sorta di dramma in tre atti. Dapprima fornisce una cornice in cui il
narratore, che sembra osservare acutamente l’umanità quasi da un microscopio,
racconta della trappola che costruisce per indurre Czentovič, casualmente sul suo stesso piroscafo, ad
accettare una partita con lui e altri principianti assoluti. Quindi l’autore focalizza
l’attenzione sulla personalità dei due fuoriclasse, Czentovič e
il dottor B. Infine la novella si conclude con il racconto della serie di sfide
che li vedono fronteggiarsi con esiti alterni.
Czentovič è ottuso e efficiente,
esattamente come una macchina: freddo, impassibile, quasi un’entità sovrumana
nella sua capacità di astrarsi da ciò che lo circonda, capace di calcolare
(come una sorta di moderno personal computer) ogni combinazione possibile
con otto mosse d’anticipo. Ben diversi sono i tratti caratterizzanti del suo
antagonista dottor B.: questi è un uomo leale e onesto, schiacciato da un
sistema, quale quello che si sta affermando con l’instaurazione del regime
nazista, che ha come unico obiettivo quello di disumanizzare l’individuo. In un
lungo flashback il lettore viene a conoscere le drammatiche vicende che lo hanno
portato a sviluppare la sua passione per gli scacchi, anzi la sua ossessione:
catturato dalla Gestapo, rinchiuso in una stanza d’albergo sgombra di ogni
oggetto, abbandonato alla completa solitudine per settimane, privato di ogni stimolo
che lo possa tenere occupato in una qualsiasi attività di tipo manuale o
intellettuale, il dottor B. trova negli
scacchi un’ancora di salvezza e forse lo strumento di una riscossa di fronte a
chi vuole annullarlo come essere pensante, privarlo di un’identità e di una
moralità. Il dottor B. occupa la sua immaginazione (non dispone infatti né di
scacchiera né di pedine) giocando infinite partite che replicano le strategie
messe in atto dai più grandi scacchisti di sempre. Spesso è costretto a
simulare partite in cui, sdoppiandosi, gioca contro se stesso, usando
contemporaneamente pezzi bianchi e pezzi neri e sarà proprio questo a causargli
un vero e proprio “avvelenamento da scacchi”, come egli stesso lo definirà, per
cui gli risulterà impossibile il non pensare al gioco
La scacchiera diviene il luogo in
cui la diversità di queste personalità antitetiche diviene tangibile poiché
i due giocano a scacchi così come sono. Czentovič, razionale e calcolatore,
considera gli scacchi una fonte di guadagno e di fama, tutt’al più uno
strumento di riscatto sociale. Il “figlio del battelliere” studia l’avversario,
lo snerva lasciandogli lungamente attendere qualsiasi mossa, non rivela il
segno della benché minima emozione per tutta la durata della gara.
Ogni volta gettava solo un’occhiata in apparenza fuggevole
alla scacchiera, ci guardava con noncuranza, come se anche noi fossimo morti
pezzi di legno, e quest’atto impertinente ricordava senza volerlo quello con
cui si getta un boccone a un cane rognoso, distogliendo gli occhi. Se avesse
avuto un po’ di sensibilità avrebbe dovuto, secondo me, avvertirci dei nostri
errori o incoraggiarci con una parola amichevole
La novella degli scacchi,
infatti, fu scritta da Zweig pochi mesi prima del suo suicidio, avvenuto in
Brasile nel 1942. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Zweig aveva
lasciato definitivamente l’Europa, discriminato in quanto ebreo, disgustato dal
“mondo nuovo” che si stava delineando dinanzi ai suoi occhi. Nella novella il
dottor B. viene a rappresentare l’essenza di un modello umano (espressione, secondo
Zweig, dello spirito più profondo della cultura europea, oramai stravolta e
rinnegata), capace di unire ingegno, creatività e valori e di aprirsi alle
mille possibilità dell’esistenza. Di fronte a questo tipo di individuo
troneggiano vincenti i rappresentanti di una nuova epoca, i vari Czentovič . Gli uomini come lui non sono privi di
qualità: sono dotati di una “dura e fredda logica”, della “visione, pazienza e tecnica” di un buon scacchista, ma sono
indifferenti e amorali. L’uomo incapace di vivere, l’inetto raccontato da
Italo Svevo, o “senza qualità”, così come descritto da Musil, non è, dunque, nella logica del
“brave new world” in affermazione, l’ottuso Czentovič, bensì proprio il tipo di uomo
dotato di ideali, arditezza, fantasia che Zweig stesso sentiva di essere. Darwinianamente,
per questa umanità incapace adattarsi alla disumanità che la circonda, non è
possibile nessuna salvezza, esattamente come gli scacchi non costituiscono
nessun riscatto per il dottor B. che, cercando di fuggire dall’orrore delle
persecuzioni e dalla pazzia, ritrova nel gioco una persecuzione e una pazzia. Ciò che resta, per quanto poco consolatorio, è
la consapevolezza del valore di quanto scomparso e la memoria che di essa ci
viene consegnato, memoria di cui il narratore, unico depositario della storia
segreta del dottor B., diviene il testimone.