Il lato oscuro (ma non solo) di Roma antica. Mecenate e i coccodrilli dell'Argiletum, di Giulio C. Valcossi
Stiamo diventando vecchi, Mecenate. Gli errori pesano di più, perché abbiamo meno tempo per rimediare.
Perché leggere Mecenate e i coccodrilli dell’Argiletum di Giulio C. Valcossi?
L’idea da cui scaturisce
il romanzo è senza dubbio stimolante: scegliere un personaggio realmente
esistito e trasformarlo, con la cospicua licenza d’invenzione che gli scrittori
sono soliti prendersi, in un detective, impegnato a indagare su torbidi
delitti, alla ricerca del colpevole da assicurare alla giustizia. In passato questa
strada era già stata percorsa da Margaret Doody, con il suo ciclo di libri su
“Aristotele detective”. In ambiente bresciano, lo stesso in cui vive e lavora
Valcossi, è stato invece il gavardese Enrico Giustacchini ad avviare una
fortunata saga di gialli medievali aventi come protagonista il giudice
Albertano.
Il personaggio storico oggetto dell’operazione letteraria di Valcossi (questo, in realtà, è solo lo pseudonimo dell’autore) è Gaio Cilnio Mecenate, l’amico di Augusto che pianificò la politica culturale del princeps romano, dando origine a uno dei più importanti cenacoli intellettuali di tutti i tempi e ponendo sotto la sua ala protettiva poeti del calibro di Virgilio e Orazio. Nel romanzo Mecenate si trasforma in un novello Hercule Poirot, in grado di sfoderare spirito di osservazione, intuizione e diplomazia, ma anche di rivelare un dinamismo che di sicuro il lettore non si aspetterebbe da un pingue intellettuale non più nel fiore degli anni. La vicenda narrata conduce a scoprire i bassifondi di una città tentacolare come era Roma nel periodo imperiale: le popinae, i bordelli, le strade notturne rumorose e malsicure, la Cloaca Maxima (le fognature dell’antica Roma, che si stendevano sotto la superficie della città in un labirinto chilometrico di tunnel). Il mondo degli usurai, degli sfruttatori delle prostitute, dei viziosi viene a intrecciarsi strettamente con il mondo dei potenti, della gente che conta o che aspira a farlo: senatori e ricchi mercanti, ma anche arrivisti e arrampicatori sociali. Nel romanzo, del resto, l’affresco storico di una società prospera e spietata al tempo stesso si fonde con le vicende minute, frutto della fantasia di Valcossi, di mille personaggi non reali, ma certamente verosimili (la schiava germanica, l’onesto artigiano, la matrona infedele, il soldato ambizioso, e così via), fornendo al lettore gli spunti e l’intrattenimento propri della detective novel di ambientazione storica.
Di cosa tratta?
Il personaggio storico oggetto dell’operazione letteraria di Valcossi (questo, in realtà, è solo lo pseudonimo dell’autore) è Gaio Cilnio Mecenate, l’amico di Augusto che pianificò la politica culturale del princeps romano, dando origine a uno dei più importanti cenacoli intellettuali di tutti i tempi e ponendo sotto la sua ala protettiva poeti del calibro di Virgilio e Orazio. Nel romanzo Mecenate si trasforma in un novello Hercule Poirot, in grado di sfoderare spirito di osservazione, intuizione e diplomazia, ma anche di rivelare un dinamismo che di sicuro il lettore non si aspetterebbe da un pingue intellettuale non più nel fiore degli anni. La vicenda narrata conduce a scoprire i bassifondi di una città tentacolare come era Roma nel periodo imperiale: le popinae, i bordelli, le strade notturne rumorose e malsicure, la Cloaca Maxima (le fognature dell’antica Roma, che si stendevano sotto la superficie della città in un labirinto chilometrico di tunnel). Il mondo degli usurai, degli sfruttatori delle prostitute, dei viziosi viene a intrecciarsi strettamente con il mondo dei potenti, della gente che conta o che aspira a farlo: senatori e ricchi mercanti, ma anche arrivisti e arrampicatori sociali. Nel romanzo, del resto, l’affresco storico di una società prospera e spietata al tempo stesso si fonde con le vicende minute, frutto della fantasia di Valcossi, di mille personaggi non reali, ma certamente verosimili (la schiava germanica, l’onesto artigiano, la matrona infedele, il soldato ambizioso, e così via), fornendo al lettore gli spunti e l’intrattenimento propri della detective novel di ambientazione storica.
Di cosa tratta?
Siamo nel 12 a.C. A Roma le guerra civili sono finite oramai da quasi vent’anni e Ottaviano Augusto è l’indiscusso Cesare, il signore di Roma che ha saputo riportare pace e ordine nell’impero. Ma dietro alla facciata di opulenza e di splendore, Roma (come raccontano le fonti dell’epoca che Valcossi ben conosce) è un mondo sotto tanti aspetti crudele, in cui la fortuna degli individui può mutare da un giorno all’altro: un affare troppo arrischiato o una frequentazione compromettente sono ragioni bastanti a precipitare in disgrazia anche i più ricchi e potenti.
Il giorno delle Nonae Octobres (il 7 ottobre, l'autore indica per ogni data e momento del giorno la dicitura latina, accanto a quella corrente) Mecenate e il suo medico personale Ermocrate si trovano a percorrere l’Argiletum, “la via che attraversava il quartiere popolare della Subura e incrociava la via Sacra”, quando la loro attenzione viene richiamata dal trambusto che si è creato attorno a una taberna: qui si trova il cadavere di Marco Vennonio Celere, ufficialmente “mercante d’arte”, in realtà, come Mecenate scoprirà ben presto, uno squallido criminale che, dietro un’apparente rispettabilità, gestisce nell’Argiletum un lucroso giro di prostituzione, ricatto e tanto altro. I sospetti cadono inizialmente su Quinto Gratidio, amico e cliens di Mecenate. Quest’ultimo, fermamente convinto dell’innocenza del suo protetto, inizia a indagare al solo scopo di scagionare Gratidio dalle accuse che si stanno formando contro di lui. Poco alla volta, però, viene ed essere via via più coinvolto in una vicenda dai contorni sempre più foschi, scoprendo l’esistenza di un “sodalizio” di individui che, per avidità e sete di potere, nell’Argiletum commettono crimini atroci, proprio come i coccodrilli che “sguazzano nel fango, invisibili a chi non sta attento. Più si nascondono sotto il pelo dell’acqua e più sono pericolosi”.
Alcuni personaggi già presenti nel primo romanzo di Valcossi accompagnano Mecenate nelle sue giornate dense di colpi di scena: fra i tanti, vi sono innanzitutto Ermocrate, medico di Alessandria d’Egitto, l’uomo di scienza con cui Mecenate discute ipotesi e elabora piani di azione, quindi la moglie Terenzia, affascinante e capricciosa, infedele per noia, ma in fondo innamorata del suo eccentrico marito etrusco. Largo spazio viene lasciato anche agli schiavi, alle loro complicate vicende di vita e di amore che si intrecciano continuamente con quelle dei loro padroni, in una sorta di Downton Abbey dell’antichità. Alla fine, fra i vari personaggi realmente esistiti, ma liberamente interpretati dall’autore (nel romanzo vi è un cammeo dedicato al poeta Ovidio, di cui Valcossi traccia uno spassoso ritratto di giovane poeta talentuoso e mondano) fa la sua comparsa anche Cesare Augusto, principe severo, ma giusto, capace anche di quella clemenza di cui Seneca implorò vanamente Nerone e, perché no, di reggere con ironia alle battute di un Mecenate in forma smagliante.
Augusto cambiò discorso.
- Ma veniamo alla persona di cui ti volevo parlare. Ancora una volta, Publicio Clemente ha dato un valido contributo alla nostra causa, non credi? […] Grazie ai premi che si è meritato, ha ormai il censo necessario per entrare nella classe dei cavalieri e sarebbe un ottimo candidato per qualche incarico amministrativo di fiducia. Ho intenzione di creare nuove prefetture, come sai, e credo che potrebbe aspirare a una carriera brillante. Con il tempo e l’esperienza, forse, anche alla prefettura d’Egitto. Il tuo parere?
- Per Publicio Clemente i tuoi desideri sono ordini, Cesare, ma penso che rimanere nell’amministrazione dello Stato sia quanto di più lontano dalle sue intenzioni: abbandonare la città e ritirarsi in campagna, farsi una famiglia, una vita semplice… Questo desidera: un sano, tradizionale ritorno alla terra, insomma. Ricordi i versi di Virgilio?
Fin troppo fortunati, se soltanto riconoscessero la loro ricchezza, i contadini!
La citazione entusiasmò Augusto, distraendolo dal notare che Mecenate lo aveva contraddetto di nuovo.
- Ah, sì! Se la grande poesia di Virgilio è capace di affascinare perfino un rude soldato come Publicio, significa che ho fatto proprio bene ad affidare a lui la celebrazione della mia gloria!
- Nessuno prende tanto sul serio la poesia, Cesare. Anche Virgilio lo sapeva benissimo. Credi che avrebbe accettato di scrivere l’Eneide, altrimenti?