Nella lotta per l’esistenza, i forti e la progenitura dei forti tendono a sopravvivere, e fin quando la lotta porta a questo risultato, la forza di ogni generazione aumenta; questa è la legge dello sviluppo. Ma voi schiavi […] sognate una società ove la legge dello sviluppo sia annichilita, ove non periscano più né i deboli né gli incapaci, ove ogni individuo incapace abbia da mangiare quanto vuole e tante volte al giorno quanto desidera, ove tutti si sposeranno e avranno progenitura, i deboli come i forti: quale sarà il risultato? La forza e il valore vitale di ogni generazione non aumenteranno più. Al contrario, diminuiranno.
Perché leggere Martin Eden?
Leggere Martin Eden è un rinfrescante tuffo nell’entusiasmo giovanile.
Martin Eden è un personaggio che facilmente affascina. Schietto e determinato, Martin è una figura modernissima che ben incarna l’ideale di quello che è considerato uno dei guru del pensiero moderno, Steve Jobs, con il suo motto stay hungry, stay foolish. I due aggettivi, del resto, ben si adattano a Martin. Egli vive in una costante situazione di fame reale e imperiosa, dettata dalla propria povertà , e che per lui costituisce uno stimolo fondamentale al miglioramento della propria condizione, ma che è anche e soprattutto fame di vita, di sapere, di amore.
Se la fame è lo stimolo, la follia è il modo di essere del protagonista, nella feroce ostinazione con cui crede in un sogno letterario su cui nessuno, neppure Ruth, la donna da lui venerata, ha il coraggio di scommettere, nella feroce ostinazione con cui ama.
Non da ultimo, il romanzo merita di essere letto perché costituisce, da parte di uno scrittore americano come Jack London, l’esaltazione di uno dei miti americani più celebri: quello del self-made man, dell’uomo fatto da sé, venuto su dal nulla, come era, del resto, lo stesso Jack London che, figlio di due droghieri, dovette adattarsi ai più disparati mestieri prima di giungere al successo commerciale attraverso la letteratura.
Una sola cautela per il lettore: meglio non affezionarsi troppo a Martin Eden. La delusione potrebbe essere cocente.
Di cosa tratta?
Un giovane marinaio conosce una bella ragazza. Lui ha viaggiato a lungo, ha esperienza del mondo, è abituato alle privazioni e al lavoro che abbruttisce. Lei è una rampolla di buona famiglia borghese, studia letteratura in università, vive nell’agio di un ambiente protetto che le ha risparmiato il confronto con la durezza dell’esistenza. Nell’incontro casuale fra i due scatta un’attrazione, che spaventa entrambi.
Lei, Ruth, non ha provato mai nulla di simile per altri; lui, Martin Eden, di fronte alla bellezza e alla purezza della ragazza si sente un essere inferiore e indegno.
Tale è l’inizio del romanzo che, a questo punto, potrebbe svilupparsi nella narrazione di una tormentata storia d’amore. Ma Jack London non ama condurre i suoi lettori su percorsi convenzionali e preconfenzionati. Martin Eden non è la storia di un amore, ma la storia, appunto, di Martin Eden, di un uomo, della sua formazione, del suo dramma esistenziale.
Lo sguardo del narratore sfrutta l’amore (la venerazione, sarebbe più corretto dire) che Martin sviluppa nei confronti di Ruth per raccontarci della strenua lotta che Martin ingaggia per migliorarsi e rendersi degno agli occhi della ragazza.
È una lotta nei confronti di sé stesso, dei propri limiti culturali e intellettuali, che Martin supererà attraverso sforzi al di là della propria capacità di sopportazione. Ma è anche soprattutto una lotta nei confronti degli ostacoli sociali, economici, delle aride convenzioni borghesi, con cui Martin dovrà costantemente scontrarsi per riuscire a mettere insieme il necessario per sopravvivere, per trovare ascolto presso un’élite pseudo-intellettuale meschina e autoreferenziale, per affermare il valore di sé, giovane ardente di vita, ma proveniente dalla classe operaia e, per questo, considerato a prescindere inferiore.
In una situazione narrativa completamente diversa, Jack London ripropone in questo romanzo alcuni dei temi a lui più cari e trattati in altre opere, ben più note al grande pubblico, come Zanna Bianca o Il richiamo della foresta: lo struggle for life. La feroce legge che anima il mondo e che spietatamente lascia indietro i più deboli, consentendo la sopravvivenza e il successo solo dei più forti, regna, suggerisce London, non solo negli ambienti estremi, in cui la natura mette l’uomo a dura prova attraverso la furia dei suoi elementi (com’è il caso, ad esempio, dello Yukon in cui si sviluppa la vicenda di Zanna Bianca). Né si può dire che essa regni solo negli strati più umili della società, dove gli operai lavorano giorno e notte e l’alcol diviene l’unico mezzo per salvarsi dalla follia (“Dopo aver lavorato in quell’inferno per una settimana, non sono buono ad altro che ubriacarmi. Se non lo facessi, mi taglierei la gola”, confida il collega Joe a Martin), dove non vi sono i soldi sufficienti per comprare le scarpe ai propri figli, come nel caso di Maria Silva, la vedova portoghese che affitta una stanza del proprio appartamento al protagonista. La lotta per sopravvivere, negli strati più benestanti della società, si trasforma, assume contorni meno crudi, si ammanta di ipocrisia, ma resiste.
Spetta al giovane Martin Eden capire quale può essere il prezzo di questo scoperta e, soprattutto, quale può essere il prezzo della vittoria.
Egli adorava quell’amore innalzato sopra le cime dei monti, al di là delle vallate della ragione. Era una sublime condizione dell’esistenza, la più alta cima della vita, e vi si giungeva raramente. […] Così considerava che l’innamorato era benedetto sopra tutte le creature, ed era una gioia per lui pensare al “divino amante folle d’amore” che s’innalzava al disopra di tutte le cose terrene, al disopra della ricchezza e del giudizio, dell’opinione pubblica e degli applausi, al di sopra della vita stessa.
Questo pensa Martin di sé, del suo amore per Ruth, della propria condizione di amante. Egli, in fin dei conti, è un eroe romantico, sostenuto, nel flusso degli eventi che travolgono qualsiasi individuo, dalla forza della passione e dell’ideale. Una volta conseguita la vittoria, a Martin non resterà che constatare che essa è sì meno dura della sconfitta, ma altrettanto amara: comunque, non si giunge al termine della lotta senza aver fino in fondo consumato, e bruciato, passioni e ideali.